The urgency of thought: Hako Hankson

Comunicato stampa

The urgency of thought

Hako Hankson

25 Aprile – 11 Giugno 2024

 

 

 

Hako Hankson

The urgency of thought

25 Aprile– 11 Giugno 2024

Opening: 25 Aprile 2024

18.30

 

 

Nato nel 1968 a Bafang, Camerun, Hako Hankson è il figlio di un rinomato custode degli oggetti rituali del suo villaggio, scultore e musicista presso il Palazzo Reale. Dal padre, Hankson ha ereditato conoscenze approfondite sui rituali, la tradizione, l'arte e le origini del suo paese. Il lavoro di Hako celebra il passato e i miti delle antiche civiltà africane, trasmettendo la storia dei riti antichi, conferendo loro una risonanza contemporanea. 

Attraverso la sua pittura, l’artista esalta l'estetica tribale, mescolando graffitismo e pitture rupestri con colori vividi e ben stesi. Trasferitosi a Douala alla fine degli anni '80, Hako si trova immerso in un ambiente cosmopolita, i suoi dipinti e disegni traggono ispirazione da scene di strada, trasformandolo in un narratore urbano con precisione e umorismo.

Appartenente a una generazione di artisti visivi autodidatti, Hako, si rifà spesso ai grandi indipendentisti come Thomas Sankara e Anta Diop, sostenendo una visione afrocentrica.

 

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Le opere di Hako Hankson possiedono una riconoscibilità essenziale, l’uso di maschere, figure tribali, l’attenta scelta cromatica e l’abbondanza di dettagli e decorazioni rendono i suoi lavori un concentrato di Africa. Si tratta di elementi distinti e delineati con attenzione che narrano, attraverso espressioni e composizioni, la storia culturale di questo continente. 

L’utilizzo delle maschere nasce da una profonda filosofia di vita, praticata e riconosciuta da Hako Hankson, tramandatagli dal padre: l’animismo.

 

My father, for his part, drew me into animist beliefs: for example, by using masks and statuettes in a dialogue with the afterlife, and that's how I came to understand the power of masks, what they could carry as a spirit, a soul, something subtle that we can't control”.

 

Le sue opere hanno una narratività intrinseca, infatti, nonostante lo spettatore veda elementi ben definiti, trame e fantasie si sviluppano sulla tela arricchendo la bellezza estetica delle maschere. Spesso ci si imbatte in figure umane, in scene conviviali, rappresentate come se fossero piccole visioni all’interno delle opere stesse. Questo indica un legame che Hako Hankson da sempre vuole esprimere: l’animismo utilizza elementi, come le maschere, per dialogare con l’aldilà e che quindi assumono un carattere spirituale, oltre terreno, fungendo da ponte tra anima e corpo. 

Nelle tele dell’artista appaiono sprazzi di umanità, incontri, figure umane a sé stanti, o altri elementi, anche animali, che mantengono sempre e rigorosamente una linea di rappresentazione quasi rupestre.

Infatti le opere di Hako Hankson rivolgono la loro attenzione anche al passato, alla base c’è un importante studio creativo delle antiche descrizioni grafiche africane. Non molto lontane da quelle che per noi sono le pitture rupestri. In questo modo l’artista esprime un forte attaccamento alla propria terra, comunicandolo agli africani, mostrandone lacune e problematiche, quasi in un linguaggio codificato che, solamente grazie ad una forte globalizzazione, diviene familiare anche a noi, ricordandoci figure di artisti americani o europei che, appropriandosi di un immaginario molto simile, rivoluzionarono l’estetica occidentale.

 

L’artista nelle sue opere descrive ciò che da sempre lo ha circondato, attraverso un linguaggio universale, tanto chiaro quanto intricato.

Si rifà alle origini, narrando diverse situazioni e personaggi, come veniva fatto un tempo dall’umanità, ma evolve il suo linguaggio, lo arricchisce e complica per renderlo futuribile. Così da attirare l’interesse dello spettatore, che si perde nell’immensità dei dettagli.

La pittura di Hako Hankson si rivolge alla propria terra natia, ma al contempo vuole esportare nel mondo ciò che per lui è l’Africa contemporanea, narrandola attraverso elementi di quella che era l’Africa un tempo, mantenendone la loro natura tribale. Si tratta di un messaggio di speranza, un nuovo linguaggio che possa portare il continente africano ad un futuro migliore.

Foto esposizione
Opere
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