Chamekh Nidhal - Burn
Metempsicosi
Alcuni popoli e civiltà hanno la consuetudine di bruciare le spoglie dei propri defunti.
Anche i Greci lo facevano: il loro rito permetteva all’anima, guidata dal dio Hermès, di effettuare il proprio viaggio negli Inferi e nell’Aldilà. Oppure, di reincarnarsi, secondo altre credenze, come l’Orfismo od il Platonismo. Solo la cenere rimane quale traccia e memoria: un lutto che accompagna le parole di coloro che restano. Poemi epici e tragedie, forse non sono che le ceneri dalle quali rinasce e sopravvive tutta la civiltà che ha fondato e determinato la storia dell’Occidente.
Le creazioni di Nidhal Chamekh adempiono a qualcosa di simile anche se non in modo identico. Le sue opere interpretano e mettono in scena un’altra memoria, che vuole essere più autentica. Riprendono la testimonianza - tracce e cenere - dei diversi avvenimenti storici per ridonare loro uno sguardo più mirato e promettere la giustizia. Dal tratto e dal disegno all’esecuzione ed alla collocazione, un lavoro minuzioso e uno sforzo incessante vengono svolti per accompagnare la memoria nella sua trasformazione e nelle sue passioni. Ed in questo passaggio lo sguardo si trasforma, noi non vediamo più soltanto le opere ma sono esse che iniziano a “guardare” noi. Vale a dire che esse ci riguardano e riconfigurano il nostro spazio e la nostra memoria: esse creano un altro mondo e un’altra storia.
Il busto sorridente d’Annibale ci guarda. Ci accoglie in una tonalità diversa da quella che l’ha segnato durante tutta la storia europea attraverso la scultura originale scoperta a Capua e attribuita allo stratega e grande uomo politico cartaginese. Un sorriso ironico che Nidhal Chamekh ha saputo posare sulle labbra di un viso che è sempre stato temuto, trasformando ad un tratto la distanza che metteva lo spettatore così lontano da questo nemico dell’impero romano. In tal modo, egli rimette in discussione tutte le distanze che l’Europa, erede di Roma, mette attualmente tra sé e gli altri – fra costoro figurano i migranti nord-Africani, discendenti di Annibale. Il sorriso ironico destabilizza il rapporto stereotipato che una certa tradizione ha tentato d’imporre per dei secoli. E questo sorriso è posto sul confine, tra dentro e fuori e dentro, alle spalle del mar Mediterraneo e di fronte ad un Ufficio Immigrazione (Transmigration). Sorriso posto al limite ogni volta vietato ed ogni volta violato che accompagnerà in maniera perentoria ogni osservatore dell’esposizione e lo obbligherà a spostare le proprie tracce ed i propri ricordi.
Sullo sfondo di un confine ove si sciolgono la storia antica e quella moderna e dove la medesima stessa perde i suoi punti di riferimento, la serie dei tre grandi disegni di Nidhal Chamekh riprende i tre scatti fotografici dell’assassinio del giovane militante e poeta Fadhel Sassi, durante le rivolte del pane in Tunisia nel 1983.
Su tele bianche - come uno schermo cinematografico - l’artista ha proiettato l’istante della morte sovraesponendo il corpo disteso allo sguardo, trasformando questo momento tragico nella creazione di un eroe, ma anche rendendo testimonianza della violenza inaudita propria dei regimi dispotici di questi paesi del Mediterraneo. Il martire diventa il ricordo di una lotta per una vita dignitosa e per la giustizia (ed anche ricordo) delle disillusioni, che hanno tutti coloro che passano e quelli che arrivano sul suolo europeo. I disegni ci mettono di fronte a delle immagini dove il tempo - e paradossalmente l’istante stesso della morte - si apre a nuove interpretazioni. Esattamente come i fotogrammi di un film. Ma la grana del film questa volta è la polvere del pane bruciato, come cenere che porta a immaginare e a vivere una storia piena di speranze, di sacrifici e di violenza. Come le anime dei morti che passavano dagli inferi e il fiume del Styx, N C rappresenta i ricordi dei migranti nel loro periplo marino e terrestre.
Nelle opere realizzate con il neon possiamo leggere in un arabo molto idiomatico delle parole che esprimono la passione e i dolori che segnano gli esuli nel loro viaggio: “Francia tu mi hai trattato male!” e “Al fuoco!”. La prima espressione è trascritta nei colori della bandiera francese e mostra ciò che canta la memoria collettiva di coloro che soffrono mentre attraversare terre straniere e a volte ostili. Quanto alla seconda parola “Al Fuoco” (El Hargah) esprime il gesto stesso di un lutto, simbolizzato dalla distruzione delle carte d’identità di coloro che poi attraversano il mare verso l’Europa in maniera clandestina. La parola “Al Fuoco” ( El Hargah) illuminata nell’acquario è forse la traccia nitida, bruciante, di una trasmigrazione dell’essere più profondo di ciascuno. Nell’oscurità di un mondo sempre più piccolo, dove si abolisce la vicinanza, dei punti s’illuminano nel fondo dell’abisso che si dovrebbe attraversare a nostro rischio e pericolo.
E cosa rimane della memoria dopo la cremazione? Una promessa di memoria. Forse.
Nella serie di disegni “Mémoire promise” (Memoria promessa) il tratto si offre ogni volta affievolendosi e sdoppiandosi ed intensificandosi in una specie di sovraesposizione fino all’osso.
Attraverso membra sezionate e misurate, frammenti di testi incompiuti e antiche foto di colonie, la memoria non arriva più a ricostituirsi in una figura unica. Essa si nasconde, vive ormai mescolata a rotture ed oblio. Essa vacilla tra fantasmi allucinatori da un lato ed una volontà accanita e ipervigilante, di dissezione anatomica - la presenza delle mani non può che riflettere la volontà d’insegnamento, di apprendimento, ma anche una auto-riflessività di tale insegnamento attraverso la sezione della figura della mano. Gli occhi fuori dalle orbite e talvolta aperti provano a ridare allo sguardo il proprio senso o promettono una giustizia. Ad ogni modo, lo spettatore si vede portato verso un cambiamento della prospettiva in un altro modo di vedere. Attraverso le sue opere Nidhal riprende la sua visione e la sottomette a delle prove ed a esperienze diverse: egli l’aggiusta e l’adatta. E tale adattamento contiene in sé il massimo della volontà politica.
Non è soltanto un atteggiamento estetico. Ma un aggiustamento, che è esso stesso anche lotta per la giustizia: per un rapporto più giusto con l’altro e con il mondo.
Arafat Sadallah